1. Il condizionamento delle procedure di appalto di opere pubbliche da parte della criminalità organizzata non può certo definirsi un fenomeno nuovo nel nostro Paese.
La prima normativa "antimafia" in materia di contratti di appalto ebbe origine nel 1982 in risposta ad un fenomeno, che già allora - con efficace e sinistra sintesi- veniva ormai da tempo indicato come la "mafia-imprenditrice" (1) . Un fenomeno criminale che è stato, cioè, capace di proiettare i propri effetti devastanti sui delicati equilibri socio-economici delle regioni meridionali del Paese.
D’altronde, la partecipazione a gare pubbliche di appalto da parte di imprese "infiltrate" o sottoposte a condizionamento criminale alimenta l’alterazione dei meccanismi di concorrenza reale tra le imprese, che vede ostacolate nell’accesso agli appalti pubblici le imprese legali a favore di quelle infiltrate o condizionate. Si pensi, a tacer d’altro, alle possibilità di ricorso per quest’ultime, in caso di difficoltà finanziaria, al credito illegale rappresentato dal reinvestimento degli ingenti proventi di reato ottenuti dalle organizzazioni criminali con lo sfruttamento di lucrose attività illecite, quali il traffico di stupefacenti e di armi, il contrabbando, la prostituzione e la tratta degli esseri umani. Tale possibilità di accesso a forme di credito di fatto illimitate e senza costi finanziari è senz’altro preclusa alle imprese legali che, al contrario, possono usufruire del solo credito bancario caratterizzato, com’è evidente, da maggiore aleatorietà e onerosità rispetto al credito illegale in quanto dipendenti dall’andamento delle condizioni di mercato e dalla valutazione della capacità dell’impresa da finanziare a restituire le somme ricevute a mutuo.
Un secondo fattore di rischio riguarda il cosiddetto "effetto volàno". La partecipazione a gare d’appalto è un’occasione formidabile per l’impresa-mafia, o per la mafia-impresa, per imprimere una forte accelerazione all’accrescimento del potere economico-criminale. Grazie all’aggiudicazione di commesse pubbliche (spuntando magari ribassi risibili, utilizzando materiali scadenti o impiegando manodopera "in nero" sottoremunerata) vi è acquisizione continua di nuova ricchezza, aumenta il potenziale economico dei sodalizi criminali, ne consegue una più cospicua disponibilità di fondi da destinare a nuove attività di corruttela e per il finanziamento di nuove iniziative legali o illegali di proporzioni sempre maggiori.
In sintesi, si assiste ad un decisivo incremento del potenziale criminale dell’associazione delinquenziale aggiudicataria di appalti.
Con riferimento, poi, all’impatto sui diritti e sugli interessi legittimi dei singoli, non andrebbero omessi di essere menzionati i rischi connessi alla sicurezza dei cittadini che utilizzano le opere prodotte dalle imprese infiltrate o condizionate. Basti pensare alle conseguenze che ne possono derivare nell’ipotesi, ad esempio, di vie di comunicazione di importanza strategica (strade, autostrade, ponti, ecc.) eseguite utilizzando materiali scadenti o inidonei, impiegando professionalità e maestranze non qualificate e, comunque, con il sistematico mancato rispetto dei canoni di regola d’arte. Indicatori questi tipici o di imprese marginali o di imprese "mafiose", cioè di strutture imprenditoriali che non stanno sul mercato o non hanno interesse a farlo... perché esse stesse sono - o ritengono di essere - il mercato!
Infine, più in generale, va menzionato un rischio di più ampio respiro, che potremmo definire "istituzionale". La criminalità organizzata, infatti, quando riesce ad infiltrarsi anche con atti di corruttela nell’amministrazione pubblica o nell’economia legale, di cui il sistema degli appalti pubblici ne rappresenta una parte importante, è fonte di rischio specifico per le fondamenta stessa dello Stato democratico di diritto e degli ordinamenti dell’economia di mercato (2) .
Il tema degli appalti e dei connessi pericoli d’infiltrazione mafiosa non è, tuttavia, argomento che possa essere visto esclusivamente in chiave criminologica. Se ne avrebbe, infatti, una visione parziale e non aderente alla realtà dove, invero, la spesa pubblica in beni e servizi è pure (anzi, soprattutto) una componente affatto importante della domanda nazionale e del ciclo produttivo (3) . Essa, nel creare occupazione, conduce ad un aumento dei consumi e delle entrate fiscali, incrementando così gli utili delle imprese e le risorse dello Stato che potranno essere destinate, rispettivamente, verso nuovi investimenti e per il finanziamento di nuove commesse pubbliche (4) .
Analizzando l’evoluzione della storia recente della normativa nazionale sugli appalti, si osserva proprio la proiezione, sul piano giuridico, di una faticosa ricerca tesa a compensare le esigenze di politica criminale con quelle di politica economica, con oscillazioni e spinte, da un lato, verso un aggravamento del fardello delle "regole del gioco" - quale "costo" necessario per porre argine alle patologie del condizionamento criminale-, e dall’altro, quelle di segno quasi diametralmente opposto, tese a sbloccare i lavori pubblici per favorire l’economia e l’occupazione.
Una parte importante di tali spinte, decisive nel porre il sistema italiano di prevenzione antimafia negli appalti in posizione peculiare rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea, risale comunque ai primi anni novanta, quando fu acquisita la definitiva consapevolezza che il fenomeno in questione aveva perso ormai da tempo la propria dimensione locale, quindi circoscrivibile alle sole aree "a rischio", ed assunto una proiezione più vasta che interessava potenzialmente tutto il territorio nazionale. Questo accadeva per la sempre più evidente constatazione che i gruppi criminali organizzati, ormai radicati anche in nuove aree di espansione - criminale e finanziaria -tradizionalmente estranee alla presenza di forme di criminalità mafiosa, erano anche in grado di condizionare importanti segmenti della grande imprenditoria operante in ogni parte del Paese.
Se il salto da una dimensione "regionale" del fenomeno ad una più vasta, che comprende l’ambito nazionale, è un dato ormai confermato dai molteplici casi noti alla cronaca dell’ultimo decennio, ci si chiede se sia possibile ipotizzare un’ancor più vasta dimensione del fenomeno dell’infiltrazione degli appalti ad opera della criminalità organizzata. Ci si domanda, in altri termini, se il fenomeno, travalicando i confini dell’operatività della legge italiana, non meriti una particolare attenzione anche a livello di Unione europea, con particolare riguardo alla cooperazione intergovernativa nei settori della giustizia e degli affari interni (cd. "Terzo pilastro").
In buona sostanza, in uno scenario mondiale di crescente globalizzazione tanto dei mercati quanto dei rischi criminali, esiste anche a livello di Unione europea un rischio specifico di infiltrazioni delle organizzazioni criminali nei meccanismi di appalto pubblico? Se questo rischio esiste, è correttamente percepito dalle istituzioni dell’Unione? È tale, infine, da richiedere un’azione concertata tra gli Stati membri dell’Unione?
Al gruppo di quesiti di cui sopra può pervenirsi anche attraverso un percorso logico inverso rispetto alla prospettiva poc’anzi illustrata, partendo cioè da considerazioni che derivano dal contesto internazionale di riferimento per approdare al divenire delle questioni criminali domestiche.
Il punto di partenza di tale prospettiva è la sempre più diffusa, e spesso abusata, distinzione tra fenomeni e reati "transnazionali" e fenomeni e reati che hanno invece una dimensione "comune", distinzione che ormai non è solo declamata sul piano accademico e scientifico ma che è anche statuita e definita sul piano giuridico dalla Convenzione delle Nazioni Unite "contro la criminalità organizzata transnazionale" aperta alla firma a Palermo il 12-15 dicembre 2000.
Da tale distinzione si fa solitamente discendere tutta una serie di conseguenze, quali l’opportunità o meno di adottare azioni concertate, di assicurare forme rapide ed efficaci di mutua assistenza legale, di prevedere meccanismi di scambio di intelligence, di predisporre appositi presidi di prevenzione del fenomeno, di istituire osservatori scientifici ad hoc, di costituire unità di analisi e di lotta specializzate e così via.
Prendendo le mosse da tale distinzione, si perviene alla formulazione di un altro quesito corollario dei precedenti: ci si chiede, in sostanza, se, analogamente a quanto accade per altri fenomeni criminali (quali, ad esempio, il riciclaggio di denaro, la corruzione, il traffico di esseri umani dove il carattere della transnazionalità è addirittura prevalente), anche la manipolazione degli appalti pubblici da parte del crimine organizzato sia un fenomeno cui è attribuibile una dimensione transnazionale.
Tutto ciò, ovviamente, rapportato non a livello mondiale, ma al più limitato ambito del territorio dell’Unione europea.
Strettamente connesso con tali questioni è, infine, il quesito circa il livello del flusso di intelligence che si ritiene debba essere scambiata tra gli Stati membri dell’Unione per rendere più efficace l’azione di prevenzione delle forme di criminalità che mirano a condizionare gli appalti pubblici.
A tutto ciò si tenterà di offrire in questa trattazione se non una risposta, almeno una chiave di lettura delle iniziative, già definite o ancora in corso, intraprese dall’Unione con riguardo allo specifico fenomeno e tentare, infine, di elaborare un modello futuribile di circolazione dell’intelligence d’interesse tra gli Stati membri.
2. A livello comunitario la materia di appalti pubblici è tuttora integralmente disciplinata da apposite direttive comunitarie, da strumenti, cioè, tipici di Primo pilastro (5) .
In questo ambito, distinguiamo:
a) le direttive cd. "fondamentali" che, a loro volta, comprendono:
- le tre direttive cd. "classiche" (o "convenzionali"), e cioè:
[1] la direttiva sugli appalti di servizi pubblici (6) (vedi infra § 8.);
[2] la direttiva sugli appalti di forniture pubbliche (7) (vedi infra § 9.);
[3] la direttiva sugli appalti di opere pubbliche (8) (vedi infra § 10.);
- la direttiva sui cd. "settori speciali" (o "direttiva sui settori di pubblica utilità"), che regola specificatamente le procedure di appalto in materia di energia, trasporti, telecomunicazioni, e nel settore idrico (9) (vedi infra § 11.);
b) le direttive sulla disciplina dei mezzi di ricorso in materia di:
[1] appalti di opere e forniture (10) ;
[2] appalti nei "settori speciali" (11) .
I mezzi di ricorso per gli appalti di servizi sono disciplinati da alcune disposizioni contenute nella citata direttiva 92/50/CEE del 18.6.1992.
3. Nel quadro di un ambizioso piano della Commissione europea per la riforma della materia, le cui linee essenziali possono farsi risalire al noto "Libro verde" sugli appalti del 1996 (vedi infra § 17.), le tre direttive cd. "classiche" saranno, in breve tempo, consolidate in un’unica nuova direttiva recante il "coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi" (12) .
Tale iniziativa, che si presenta come una sorta di testo unico comunitario sugli appalti, si pone il fine, in primo luogo, di eliminare le incongruenze ora esistenti fra le tre direttive "classiche" e di generalizzare, ove possibile, l’applicazione di regole dettate ora in via specifica per ciascun tipo di appalti.
A conclusione di un percorso tortuoso durato più di tre anni, la nuova direttiva "classica", una volta inviata al Parlamento europeo per la seconda lettura (13) , potrebbe essere definitivamente approvata entro la fine del 2003, salvo che non intervenga la necessità di aprire una procedura di conciliazione tra Consiglio e Parlamento europeo per la soluzione delle non poche questioni su cui vi è divergenza di posizione tra le due istituzioni dell’Unione.
4. Anche la direttiva "settori speciali" sarà integralmente sostituita, entro gli stessi termini di tempo, da una nuova direttiva che "coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali" (14) .
La necessità di adottare una nuova direttiva in questo ambito risiede nell’esigenza, da tempo avvertita, di rivedere il campo di applicazione dell’intervento comunitario, anche alla luce della graduale liberalizzazione che ha interessato i settori in questione.
5. Se per la cooperazione "comunitaria" propriamente detta, come visto, non mancano i riferimenti normativi d’interesse - che anzi vivono una importante stagione di riforma e sviluppo- al contrario, nel più recente ambito della cooperazione intergovernativa "giustizia e affari interni (GAI)" o di "terzo pilastro", non è stata ancora adottata alcuna misura specifica per assicurare uno "spazio di libertà, sicurezza e giustizia" anche nel settore degli appalti pubblici.6. L’esigenza di un intervento anche nel "terzo pilastro" è, tuttavia, avvertita nelle diverse istanze europee. In numerosi atti aventi valore politico o programmatico le istituzioni dell’Unione hanno, infatti, da tempo richiamato l’esigenza di procedere verso una cooperazione intergovernativa tesa a tenere lontana la criminalità organizzata dagli appalti pubblici, evitando l’aggiudicazione di gare a soggetti appartenenti alla criminalità organizzata o sui quali gravino, comunque, seri pregiudizi di carattere penale.
Tra gli atti adottati dal Consiglio europeo in particolare evidenza si pone il "Piano d’azione di lotta contro il crimine organizzato del 1997" (15) , il documento sulle conclusioni del vertice di Tampere del 1999 (16) , la "Strategia dell’Unione europea per l’inizio del nuovo Millennio - Prevenzione e controllo della criminalità organizzata" del 2000 (17) , nonché, da ultimo, il "Programma di misure per dare attuazione al principio di mutuo riconoscimento delle decisioni in materia penale" del 2001 (18) .
Anche la Commissione non ha mancato di suggerire preziosi elementi di orientamento per un’azione europea di contrasto alla criminalità negli appalti, dapprima sotto forma di semplici principi posti a corollario di più ampie strategie o iniziative riguardanti le tradizionali politiche comunitarie, e successivamente attraverso l’elaborazione di veri e propri piani di azione specifici.
In tal senso, si ricordano il cd. "Libro verde" sugli appalti pubblici nell’Unione europea del 1996 (19) , le comunicazioni del 1997 e del 1998 rispettivamente sulla politica anticorruzione (20) sugli appalti pubblici (21) ed il rapporto, redatto congiuntamente con l’Europol, avente per titolo "Verso una strategia Europea per prevenire la criminalità organizzata" del 2001 (22) .
Anche il Consiglio dell’Unione europea si è espresso sulla materia. Nella risoluzione del 1998 sulla prevenzione della criminalità organizzata (23) l’alto consesso tracciava alcune linee di intervento fondamentali per una pertinente azione intergovernativa.
7. Come più sopra accennato, a tali numerose e importanti premesse di orientamento e indirizzo delle politiche dell’Unione non è, invero, corrisposto un adeguato sviluppo di concrete iniziative di cooperazione "giustizia affari interni".
Vero è che la cooperazione intergovernativa di Terzo pilastro è piuttosto recente, cui solo a partire dal Trattato di Amsterdam entrato in vigore nel maggio 1999 è possibile ascrivere una certa concretezza di iniziative, ma v’è pure da ammettere che la cooperazione GAI in altri settori-chiave (come il riciclaggio di proventi illeciti, il traffico di stupefacenti e, più di recente, il terrorismo internazionale) ha già manifestato un’apprezzabile vitalità. Come avremo modo di apprezzare nel prosieguo esaminando le isolate iniziative promosse da Germania e Danimarca (vedi infra § 24.-25.), la vitalità che ha caratterizzato la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni negli anni più recenti, soprattutto all’indomani del Consiglio di Tampere del 1999, sembra aver influenzato poco o nulla la politica europea per la sicurezza degli appalti pubblici dalle aggressioni del crimine organizzato.
A) DIRETTIVE VIGENTI
Le direttive "classiche"
Direttiva sugli appalti di servizi pubblici
8. Nella direttiva 92/50/CEE del 18.6.1992, modificata dalle direttive 93/36/CEE del 14.6.1993 e 97/52/CE del 13.10.1997, le disposizioni che hanno attinenza al dispositivo di prevenzione dell’infiltrazione della criminalità sono contenute nell’art. 29.
Tale articolo non prevede alcuna causa di esclusione obbligatoria dell’operatore economico dalla gara d’appalto. Sono, invece, previste unicamente cause in cui la stazione appaltante ha la semplice facoltà di escludere da una gara "europea" il candidato:
- condannato per reati che incidono sulla moralità professionale;
- che si trova in uno degli stati previsti dalle procedure concorsuali;
- incorso in errore grave nell’esercizio dell’attività professionale;
- responsabile di irregolarità nell’adempimento degli obblighi tributari, previdenziali e assistenziali;
- gravemente colpevole di falsa dichiarazione nel fornire le informazioni richieste dalla direttiva.
Direttiva sugli appalti di forniture pubbliche
9. Nella direttiva sugli appalti di forniture (93/36/CEE del 14.6.1993, modificata dalla direttiva 97/52/CE del 13.10.1997) le disposizioni che attengono alla materia della prevenzione dell’infiltrazione della criminalità negli appalti pubblici sono contenute nell’art. 24.
Anche tale direttiva prevede unicamente cause di esclusione facoltativa dalle procedure di gara e, salvo qualche poco comprensibile incongruenza (24) , coincidenti con quelle previste dalla direttiva sugli appalti di servizi.
Direttiva sugli appalti di lavori pubblici
10. Anche in tale direttiva (93/37/CEE del 14.6.1993, modificata dalla direttiva 97/52/CE del 13.10.1997) non sono previste ipotesi in presenza delle quali sorge l’obbligo di esclusione dell’operatore economico dalla gara d’appalto.
L’articolo 24 della direttiva prevede i medesimi casi di facoltà di esclusione elencati dalla direttiva sugli appalti di forniture.
La direttiva "settori speciali"
11. La direttiva 93/38/CEE del 14.6.1993, modificata dalla direttiva 98/4/CE del 16.2.1998, codifica le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, di lavori e di servizi nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni.
La direttiva è governata da norme e procedure del tutto peculiari rispetto a quelle previste nelle tre direttive "classiche". La specificità delle norme si ripercuote anche con riguardo alle regole di selezione dei candidati. L’art. 31 della direttiva prevede che possano essere gli stessi enti aggiudicatori a fissare e gestire autonomamente i criteri di selezione dei candidati, con il solo limite che tali criteri abbiano carattere oggettivo e non discriminatorio.
In tale contesto, la direttiva concede alle stazioni appaltanti la possibilità che tra i criteri di selezione dei candidati siano considerati quelli per cui è prevista la facoltà di esclusione nell’art. 23 della direttiva 71/305/CEE e nell’art. 20 della direttiva 77/62/CEE.
B) I CONTENUTI DELLA NUOVA DIRETTIVA "CLASSICA"
12. Già nella sua prima proposta per una nuova direttiva sui settori convenzionali, la Commissione europea ritenne necessario prevedere nell’ambito dei meccanismi di selezione degli offerenti un rafforzamento degli strumenti di lotta contro la criminalità organizzata, la corruzione e la frode, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di escludere gli offerenti nei cui confronti fosse stata pronunciata una condanna, con sentenza definitiva, per reati di criminalità organizzata, di corruzione o di frode a danno degli interessi finanziari della Comunità. Tale proposta prendeva le mosse dalle conclusioni del vertice di Tampere (25) , nonché dal piano d’azione di lotta contro il crimine organizzato (26) e dalla comunicazione della Commissione del 1997 su una politica dell’Unione contro la corruzione (27) (vedi infra § 18.).
13. Con l’intento di uniformare le disposizioni contenute nelle vigenti direttive in materia di criteri di selezione qualitativa dei candidati (28) , l’articolo 46 del testo della prima proposta di direttiva (ora articolo 45), avente per oggetto la "situazione personale del candidato o dell’offerente"), prevedeva:
casi di esclusione obbligatoria e facoltativa di un operatore economico dalla gara d’appalto (paragrafi 1 e 2);
l’elenco dei documenti e certificati attestanti la situazione personale del candidato (estratto del casellario, certificati rilasciati da autorità competenti) (par. 3);
la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva giurata o solenne (par. 4);
il meccanismo per l’individuazione delle autorità tenute a rilasciare i predetti documenti, certificati e dichiarazioni (par. 5).
Com’è evidente, con tale proposta di articolato la Commissione intendeva introdurre un importante elemento innovativo nelle regole comunitarie degli appalti pubblici, ovvero l’inserimento, per la prima volta, di una serie di cause di esclusione obbligatoria per difetto di requisiti di "onorabilità" e, tra queste, l’ipotesi in cui un offerente è colpito da sentenza irrevocabile di condanna per partecipazione ad una organizzazione criminale.
Peraltro, nelle intenzioni della Commissione i presidi di prevenzione della illegalità negli appalti dovevano spingersi ben oltre i descritti casi di conclamata evidenza di connessioni con la criminalità organizzata, ricomprendendo anche altre gravi situazioni in cui o non era stato raggiunto il livello massimo di certezza giuridica sul coinvolgimento di una associazione criminale oppure vi era sì certezza giuridica ma solo per altre forme di illegalità solitamente connesse con fenomeni di grave criminalità organizzata.
La Commissione proponeva pertanto di inserire tra le cause di esclusione facoltativa, le ipotesi in cui nei confronti dell’offerente vi fosse:
una decisione giudiziaria "che accerta una frode, o una qualsiasi altra attività illegale ai sensi dell’art. 280 del Trattato, diversa dalle quelle in danno degli interessi della Comunità" (art. 46, par. 2, lett. h);
un giudizio, anche non irrevocabile, "in ordine alla colpevolezza per reati che incidono sulla moralità professionale dell’operatore economico" (art. 46, par. 2, lett. c).
14. Nel corso dei lavori, la proposta originaria della Commissione è stata via via modificata, per effetto non solo dei prolungati e logoranti negoziati occorsi tra gli Stati membri nei Gruppi di lavoro consiliari competenti (29) , ma anche delle richieste di emendamento formulate dal Parlamento europeo in sede di prima lettura del progetto di direttiva.
Il progetto di direttiva "classica", ormai prossimo alla definitiva approvazione, deve superare l’ultima fase di esame di merito rappresentata dalla seconda lettura del Parlamento europeo. La Commissione ha, quindi, predisposto una proposta modificata della direttiva sulla quale il 19 marzo 2003 il Consiglio è pervenuto ad una posizione comune (30) . Il testo che è stato sottoposto al Parlamento europeo per la seconda lettura il 27 giugno 2003 prevede una formulazione dell’articolo 45 (già art. 46) sulla "situazione personale del candidato o dell’offerente" sensibilmente difforme a quella originariamente proposta dalla Commissione.
La nuova versione prevede quattro ipotesi di esclusione obbligatoria. Sarà escluso dalla partecipazione ad un appalto pubblico "europeo" rientrante nei settori compresi dalla direttiva "classica", il candidato o l’offerente condannato, con sentenza definitiva, per uno dei seguenti reati: partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode a danno degli interessi finanziari delle Comunità europee e riciclaggio di proventi (31) (art. 46.1. 1° cpv.).
La competenza a stabilire le condizioni concrete di applicazione delle esclusioni obbligatorie spetta, però, ai singoli Stati membri, in particolare quando ciò riguarda il campo di applicazione del diritto penale, la cui armonizzazione, come noto, non è oggetto delle direttive "pure" di primo pilastro, come quella di cui trattasi (art. 46.1 2° cpv.).
In tale contesto, gli Stati membri potranno altresì prevedere deroghe per "esigenze imperative di interesse generale" (art. 46.1 3° cpv.). Per meglio comprendere la portata di quest’ultima disposizione si pensi al caso, ad esempio, di un problema di sanità pubblica che riguardi malattie molto gravi per le quali i soli medicinali disponibili pervengano da un operatore economico che si trovi in una delle condizioni di esclusione obbligatoria.
Oltre ai casi di obbligatorietà dell’esclusione da una procedura di appalto, la nuova versione della direttiva sottoposta all’esame del Parlamento europeo prevede, in analogia alla proposta originaria della Commissione, anche i casi in cui l’amministrazione aggiudicatrice ha facoltà di esclusione del candidato o dell’offerente.
Tra questi casi possiamo distinguere quelli che postulano l’emissione di un provvedimento definitivo da parte di una Autorità giudiziaria, sia essa o meno penale, e quelli che, al contrario, sono riferibili a mere situazioni di pericolo.
Appartengono alla prima categoria di cause facoltative di esclusione:
- stato di fallimento, liquidazione, cessazione di attività, amministrazione controllata o concordato preventivo od altra analoga situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista la leggi e regolamenti nazionali (art. 45.2.a);
- condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato che incida sulla moralità professionale del candidato o dell’offerente (art. 45.2.c);
Sono, invece, riconducibili a mere situazioni di fatto o di rischio - e, quindi, a pieno titolo può parlarsi di azioni preventive - le seguenti cause di esclusione non collegate all’emissione di un previo provvedimento definitivo:
- pendenza di un procedimento per la dichiarazione di fallimento o pendenza di altre procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare nazionale (art. 45.2.b);
- errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale, accertabile dall’amministrazione aggiudicatrice con qualsiasi mezzo di prova (art. 45.2.d);
- posizione di non regolarità in ordine al pagamento di contributi previdenziali e assistenziali (art. 45.2.e-f);
- omessa o falsa dichiarazione, con colpa grave, all’amministrazione aggiudicatrice richiedente informazioni sulla situazione personale del candidato o dell’offerente (art. 45.2.g). Anche per le cause facoltative di esclusione, in analogia a quanto disposto per quelle obbligatorie, in sede di attuazione della direttiva spetterà agli Stati membri definire nelle rispettive normazioni nazionali le condizioni concrete della loro applicazione.
Sull’operatore economico grava l’onere di provare l’insussistenza delle condizioni di esclusione, obbligatoria o facoltativa, dalla procedura di appalto.
Quale prova idonea del fatto che non sussiste alcuna delle condizioni per l’esclusione obbligatoria - che, ricordiamo, postulano tutte l’emissione di un provvedimento definitivo con autorità di cosa giudicata - e per quelle facoltative relative ai reati sulla moralità professionale e allo stato di fallimento, l’operatore economico presenta l’estratto del casellario giudiziale o, in mancanza di questo, di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa del paese di origine o di provenienza, dal quale risulti che tali requisiti sono soddisfatti.
Per la prova di insussistenza delle cause di esclusione facoltativa relative agli obblighi previdenziali, assistenziali e tributari, l’operatore economico dovrà produrre la documentazione idonea rilasciata dai rispettivi enti ed autorità competenti.
L’ultima ipotesi di esclusione facoltativa - l’omessa o la falsa dichiarazione di informazioni sulla situazione personale del candidato - essendo una situazione di fatto direttamente accertabile dall’amministrazione aggiudicatrice, non richiede in re ipsa la produzione di alcuna prova documentale (art. 46.3a-b).
La direttiva prevede, altresì, i seguenti casi in cui un documento o un certificato comprovante l’insussistenza delle condizioni di esclusione può essere sostituito da una "dichiarazione giurata":
- quando il documento o il certificato di cui si ha necessità non sia rilasciato dallo Stato in cui è bandita la gara di appalto;
- quando il documento o il certificato che rilascia lo Stato in cui è bandita la gara di appalto non menziona tutti i casi di esclusione obbligatoria nonché quelli di esclusione facoltativa connessi alla pendenza di una procedura fallimentare, allo stato di fallimento e ai reati sulla moralità professionale (art. 45.3.1a-b).
Negli Stati membri dell’Unione dove non è ammessa la figura probatoria della "dichiarazione giurata", la persona interessata può rendere una "dichiarazione solenne" innanzi all’autorità giudiziaria o amministrativa competente, ad un notaio o ad un organismo professionale qualificato del paese di origine o di provenienza (art. 45.3.cpv).
In caso di dubbi sulla situazione personale di un candidato stabilito in uno Stato membro diverso da quello dell’amministrazione aggiudicatrice, quest’ultima può chiedere la cooperazione delle autorità competenti dello Stato membro interessato (art. 45.1.4).
A quest’ultimo riguardo, merita un breve cenno anche uno specifico emendamento proposto dal Parlamento europeo in sede di prima lettura (32) ove è richiamata l’opportunità che gli Stati membri, oltre a stabilire procedure appropriate per l’esecuzione e l’attuazione nelle loro giurisdizioni della nuova direttiva classica, valutino la necessità di avvalersi di "un organismo indipendente in materia di appalti pubblici nella prospettiva di assicurare che le amministrazioni aggiudicatrici si conformino alla direttiva".
Va da sé come l’idea del Parlamento europeo di prevedere o individuare un Organismo ad hoc presso ogni Stato membro, qualora confermata in sede di seconda lettura e trasfusa nel testo finale della direttiva, potrà essere funzionale anche alle esigenze dello scambio internazionale delle informazioni necessarie alle amministrazioni aggiudicatici per acclarare la situazione personale degli offerenti e dei candidati. Questo tipo di attività, infatti, ben può essere vista nel quadro dei compiti che l’Organismo indipendente potrà svolgere per assicurare, come detto nell’emendamento, che le amministrazioni aggiudicatici si conformino al dettato della direttiva.
C) I CONTENUTI DELLA NUOVA DIRETTIVA SUI SETTORI DI "PUBBLICA UTILITÀ"
15. La proposta di nuova direttiva sui settori di "pubblica utilità", destinata una volta entrata in vigore a sostituire integralmente la vigente direttiva detta dei "settori speciali" (supra § 11.), si pone il fine di semplificare il quadro giuridico esistente in materia di appalti pubblici degli enti erogatori di acqua, di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e postali, adattandolo alla graduale liberalizzazione che ha interessato detti comparti strategici.
In tale ottica, la proposta di direttiva tende, per quanto possibile, ad allinearsi ai contenuti della nuova direttiva "classica" cercando, nel contempo, di assicurare il livello di flessibilità richiesto dalla specificità dei singoli settori.
In effetti, come potrà osservarsi, anche per gli aspetti più specifici relativi all’applicazione dei criteri di esclusione del partecipante alla procedura di appalto, la proposta di direttiva "utilità" è caratterizzata da una maggiore flessibilità rispetto a quella "classica".
Tuttavia, questa difformità di profilo personale richiesto ai candidati ad appalti nei settori di pubblica utilità rispetto a quelli partecipanti ad appalti "classici" non avrebbe in astratto molto senso. Si pensi, ad esempio, al rischio potenziale di infiltrazioni della criminalità organizzata che è, semmai, più elevato proprio nei settori strategici oggetto della direttiva "utilità" dove, al contrario, la normazione comunitaria sembrerebbe paradossalmente orientata ad allentare le maglie del controllo preventivo.
In realtà la soluzione adottata non ha nulla di aberrante perché prende le mosse, tenendone conto, dalla peculiarità dell’ambito soggettivo di applicazione della direttiva.
La futura direttiva "utilità" trova applicazione sia per gli appalti banditi dalle "amministrazioni aggiudicatrici", come avviene anche per la direttiva "classica", quanto per quelli banditi da enti aggiudicatori che hanno veste di "imprese pubbliche".
Le "amministrazioni aggiudicatrici" sono lo Stato, gli enti territoriali e gli enti di diritto pubblico, nonché le associazioni costituite da amministrazioni e/o enti di diritto pubblico (33) .
Per diritto comunitario "imprese pubbliche" devono intendersi, invece, "le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante (34) perché ne sono proprietari, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione" (35) .
Ora, mentre è pacifico che in tutti gli Stati membri dell’Unione le "amministrazioni aggiudicatrici" abbiano accesso ad elementi di prova incontestabili, quali i "casellari giudiziali", circa l’insussistenza delle cause di esclusione viste a proposito della direttiva "classica", non altrettanto pacifica nell’Unione è la possibilità che sia accordato anche alle "imprese pubbliche" un accesso generalizzato a tale tipo di informazioni.
Pertanto, la soluzione cui è orientata la futura direttiva "utilità" sembra essere quella del "doppio binario", secondo la quale mentre alle amministrazioni aggiudicatrici è richiesto di esigere anche nel settore "utilità" il medesimo profilo "morale" del partecipante ad una gara nel settore "classico", alle "imprese pubbliche" è invece lasciata la facoltà di scelta se applicare o meno i criteri di esclusione di cui all’articolo 46, comma 1 della proposta di nuova direttiva "classica".
In particolare, la bozza della nuova direttiva "utilità" prevede che per le procedure di appalto aperte, ristrette o negoziate, gli enti aggiudicatori debbano fissare e rendere noti i criteri di selezione dei candidati "secondo regole e criteri obiettivi" attinenti alla loro capacità economica, finanziaria e tecnico-professionale (art. 53.1 coord. con i commi 2.5 e 6).
Inoltre, gli enti aggiudicatori, a seconda che si tratti di "amministrazioni aggiudicatrici" o di "imprese pubbliche" dovranno o potranno, rispettivamente, comprendere nel novero dei criteri di selezione le cause di esclusione previste all’articolo 46 della direttiva "classica". Le "imprese pubbliche" faranno riferimento alle sole cause per le quali la direttiva "classica" prevede l’esclusione obbligatoria (art. 53.4).
Infine, e sempre in analogia con quanto indicato nella proposta di direttiva "classica", le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere ad un partecipante ad un appalto nei settori di pubblica utilità di fornire i documenti appropriati circa l’insussistenza delle cause di esclusione e, allorché abbiano dubbi sulla loro situazione personale, possono chiedere la cooperazione delle autorità competenti dello Stato membro interessato.
L’esclusione deve aver luogo quando l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza di una sentenza, relativa ad uno dei reati previsti dalla direttiva, emessa conformemente al diritto nazionale e avente carattere definitivo di sentenza passata in giudicato.
16. Accennati i profili fondamentali di interesse delle vigente disciplina comunitaria propriamente detta (§§ 8.-11.) e dedicato un più approfondito esame alle iniziative di riforma del settore (§§ 12.-15.), prima di procedere all’analisi di quanto accade nell’ambito della cooperazione intergovernativa di Terzo pilastro (§§ 24.-25.), appare opportuno fare una breve panoramica degli orientamenti, aventi carattere politico e programmatico, della Commissione e del Consiglio, poiché essi rappresentano, più d’ogni altro, la traccia nel cui solco evolvono gli sviluppi della normazione dell’Unione, in generale, e quella del settore "Giustizia e Affari Interni", in particolare.
A) ATTI DELLA COMMISSIONE
Il Libro verde "Gli appalti pubblici nell’Unione europea - Spunti di riflessione per il futuro" del 1996
17. Il "Libro verde" della Commissione sugli appalti pubblici (36) ha rappresentato un punto di svolta decisivo nel progetto di riforma, tutt’ora in corso, dell’intero settore.
In questo documento, dove pur mancano espliciti spunti per una prevenzione specifica della criminalità organizzata negli appalti, è in più parti posto l’accento sul fatto che procedure di aggiudicazione leali, non discriminatorie e trasparenti siano indispensabili per ridurre il rischio di frode e di corruzione nelle amministrazioni, due fenomeni che, possiamo senz’altro a posteriori aggiungere, sono frequenti indicatori di tentativi di infiltrazione o di condizionamento delle organizzazioni criminali più evolute.
La trasparenza, prosegue poi la Commissione, può non bastare da sola a sradicare le frodi e la corruzione, ma è necessario il ricorso "a meccanismi di monitoraggio, di controllo delle procedure, nonché a sanzioni proporzionate, effettive e dissuasive". Nel richiamo, in questo passaggio, a strumenti tipici della prevenzione a carattere non ablativo - come il "monitoraggio" e il "controllo delle procedure", che ormai fanno parte del patrimonio italiano delle strategie di lotta all’infiltrazione mafiosa nelle grandi opere pubbliche - non è difficile rinvenire una prima lontana radice della necessità di una azione europea di prevenzione anticrimine negli appalti.
La comunicazione "Politica dell’Unione contro la corruzione" del 1997
18. Le relazioni esistenti tra corruzione e criminalità organizzata sono state più esplicitamente affermate dalla Commissione appena un anno più tardi, quando con il documento del 1997 sulla "politica dell’Unione contro la corruzione" (37) è stata posta in evidenza la comune matrice fenomenologica, nel senso che la corruzione si oppone a quei medesimi principi di non-discriminazione e di libera concorrenza previsti dal mercato unico che risultano parimenti violati negli appalti pubblici, "truccati" o "infiltrati", in cui non sono sufficientemente garantiti i principi di trasparenza e di parità di accesso.
Per tale motivo, la Commissione, tra le azioni anticorruzione proposte, segnala la necessità di un "intervento migliorativo delle norme applicabili agli appalti pubblici" nel quadro del diritto comunitario, oltre che delle iniziative WTO e OCSE.
Quale uno degli strumenti di prevenzione, la Commissione propone la compilazione di "liste nere" di imprese condannate per corruzione (black lists) al fine di escluderle - ricorrendone i presupposti di legge - dall’accesso a finanziamenti del FEOGA - Garanzia o dalla partecipazione ad appalti pubblici.
La comunicazione "Gli appalti pubblici nell’Unione europea" del 1998
19. Sulla scorta delle indicazioni emerse nel "Libro verde" (supra § 17.), la Commissione ha proposto, nella comunicazione del marzo 1998 "I pubblici appalti nell’Unione europea" (38) , l’adozione di un insieme di iniziative per il miglioramento nelle procedure di aggiudicazione anche al fine di pervenire ad un contenimento del fenomeno della corruzione nell’ambito dell’Unione europea.
In tale contesto, e con riferimento specifico ad aspetti aventi attinenza alla prevenzione dell’illegalità negli appalti, la Commissione riteneva necessario procedere:
- al miglioramento delle procedure di controllo a livello comunitario, non solo attraverso il sistematico e più energico ricorso alla procedura per inadempienza e alla domanda di comminazione di ammende ex art. 169 e 171 del trattato contro gli Stati membri che non si conformano alle norme vigenti, ma anche prospettando la "possibilità di predisporre un più forte meccanismo per lottare contro le infrazioni più gravi nel settore dei pubblici appalti";
- al rafforzamento del sistema di attestazione dei fornitori;
- all’apprestamento di misure "anticorruzione", tra cui la compilazione di "liste nere";
- all’esclusione dalle procedure di aggiudicazione degli offerenti aventi rapporti con la criminalità organizzata.
Il rapporto congiunto dei servizi della Commissione e dell’Europol "Verso una strategia Europea per prevenire la criminalità organizzata" del 2001
20. Il rapporto "Verso una strategia Europea per prevenire la criminalità organizzata" si pone come uno dei più recenti capisaldi di strategia dell’Unione dedicati esclusivamente ai complessi temi della prevenzione della criminalità organizzata.
In esso si afferma che uno dei cardini principali su cui devono ruotare le politiche di prevenzione della criminalità organizzata è l’ "alto livello di trasparenza", quale fattore di good governance della pubblica amministrazione e di integrità delle relazioni economiche.
La Commissione suggerisce, pertanto, di procedere al rafforzamento dell’azione preventiva in ciascuno Stato membro e a livello di Unione europea polarizzando l’attenzione sulle aree, come gli appalti pubblici, dove è maggiore l’interesse o comunque l’influenza delle organizzazioni criminali ed adottando misure preventive efficaci come il "monitoraggio preventivo" (preventive screening), l’utilizzo di informatori o determinate "misure di controllo".
L’adozione di tali misure preventive, si aggiunge, in quanto idonee ad incidere o a limitare l’esercizio delle libertà fondamentali, deve essere accompagnata da particolari cautele e guarentigie.
L’azione di prevenzione della criminalità, infine, deve essere più ampiamente sostenuta dalle iniziative degli Stati membri dell’Unione tese a:
- stimolare la diffusione della "cultura della legalità", quale fattore che incoraggia la segnalazione delle situazioni di illegalità alle autorità competenti;
- associare alle autorità pubbliche negli sforzi di prevenzione i cd. "difensori di prima linea" (first line defenders), sollecitandoli, ad esempio, a sottoscrivere codici di condotta che tengano conto delle misure preventive;
- rafforzare l’attuazione dei principi fondamentali dello stato di diritto (the Rule of law), in modo da impedire che imprenditori non qualificati possano accedere a specifici segmenti dell’economia.
Sempre con riferimento all’impatto sulla prevenzione della criminalità negli appalti pubblici, il documento della Commissione e dell’Europol dedica una apposita sezione ai temi del "rafforzamento del ruolo della Pubblica Amministrazione in un ambiente trasparente".
In tale sede si sottolinea che la strategia di prevenzione dell’Unione deve partire dalla constatazione che spesso è proprio la Pubblica Amministrazione a trovarsi in prima linea nell’occasione di prevenire la perpetrazione di attività illegali da parte della criminalità organizzata. Si tratta, cioè, dei casi in cui i sodalizi criminali entrano in contatto con la Pubblica Amministrazione, quando mirano ad ottenere indebitamente autorizzazioni, a beneficiare di sussidi non dovuti o a manipolare procedure di aggiudicazione di gare pubbliche di appalto.Nel documento è fatto pure cenno ad un progetto di legge olandese che prevede la costituzione di una apposita unità con il compito di effettuare un monitoraggio preventivo sulla "integrità" (39) . Tale esempio, segnala la Commissione, "potrebbe essere ulteriormente approfondito al fine di considerare una sua eventuale adozione anche in altri Stati membri".
B) ATTI DEL CONSIGLIO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
La risoluzione sulla "Prevenzione della criminalità organizzata in relazione all’elaborazione di una strategia globale per la sua repressione" del 1998
21. La risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 21 dicembre 1998 (40) , che si pone in rapporto di continuità con il piano d’azione contro la criminalità organizzata del 28 aprile 1997, sintetizza in 35 punti le linee d’azione della futura strategia di prevenzione anticrimine.
Ai nostri fini, assume rilevanza il punto 13, laddove si "sottolinea che la trasparenza e il controllo in materia di appalti pubblici contribuiscono in maniera essenziale a prevenire la corruzione e la criminalità organizzata" e si esortano, pertanto, gli Stati membri ad "adottare le pertinenti direttive e a sostenere gli obiettivi con misure concrete e appropriate per quanto riguarda gli aspetti repressivi e giudiziari".
Quest’ultimo accenno alle "misure concrete" è di importanza fondamentale. Con esso il Consiglio dell’Unione europea sembra voler superare il tradizionale limite che vuole circoscritte le iniziative normative sugli appalti pubblici al solo ambito comunitario, quindi attuabili con strumenti di "Primo pilastro", quali le direttive. Al contrario, afferma il Consiglio, le azioni che riguardano la trasparenza, il controllo e la "moralità" negli appalti pubblici devono essere sostenute da "misure concrete", misure, queste, che afferiscono tipicamente alla cooperazione intergovernativa di "Terzo pilastro".
La "Strategia dell’Unione europea per l’inizio del nuovo Millennio - Prevenzione e controllo della criminalità organizzata" del 2000
22. Un’apposita sezione del documento del Consiglio europeo denominato "EU Strategy for the beginning of the new Millennium" (41) è dedicata alla prevenzione dall’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore pubblico ed in quello privato legale.
L’Unione, in questo documento, riconosce a chiare lettere l’esistenza di un rischio negli appalti che interessa tutti gli Stati membri, travalica le frontiere ed assume rilevanza transnazionale (42) .
La strategia dell’Unione in questo settore, pertanto, ha come obiettivo quello di "prevenire l’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore pubblico ed in quello privato legale", partendo dalla necessità che sia data concreta attuazione alle pertinenti raccomandazioni del Piano d’azione sulla criminalità organizzata del 1997 non ancora realizzate (43) .
Il documento sulle "strategie dell’Unione per il nuovo millennio" invita, altresì, gli Stati membri e la Commissione:
- a procedere ad uno studio di fattibilità sulla possibilità di escludere anche i soggetti ancora sotto indagine (investigation) o sotto procedimento penale (prosecution) in quanto coinvolti in fatti di criminalità organizzata;
- a predisporre idonei strumenti comunitari e dell’Unione che consentano, tra l’altro, lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione, contenenti specifiche disposizioni sul ruolo della Commissione sia nella cooperazione amministrativa quanto nella predisposizione di "black-list".
Il "Programma di misure per dare attuazione al principio di mutuo riconoscimento delle decisioni in materia penale" del 15 gennaio 2001
23. In questo documento il Consiglio europeo ha effettuato una ricognizione analitica di tutti gli obiettivi da raggiungere a livello di Unione europea nell’ambito del diritto penale.
Uno dei punti principali del "programma" concerne l’estensione dell’efficacia a tutto il territorio dell’Unione delle "decadenze da diritti" o, secondo la terminologia giuridica anglosassone, disqualifications.
L’iniziativa si ricollega a quanto previsto dalla ancora inattuata raccomandazione n. 7 del Piano d’azione del 1997 sull’esclusione dalla partecipazione a gare d’appalto indette negli Stati membri e nella Comunità dei soggetti con reati connessi alla criminalità organizzata e sulla necessità di rifiutare loro la concessione di licenze o aiuti governativi.
In considerazione di ciò, il Consiglio europeo ha programmato, a partire dalla fine del 2002, la realizzazione di uno studio di fattibilità per determinare il modo migliore per pervenire, nel rispetto delle norme sulla tutela dei dati personali, all’informazione delle autorità competenti dell’Unione europea in merito ai provvedimenti di decadenza, divieto e incapacità pronunciati negli Stati membri.
Lo studio dovrà pure accertare se sia preferibile provvedere ad agevolare gli scambi bilaterali d’informazioni o, in alternativa, istituire un collegamento in rete degli archivi nazionali, oppure ancora costituire un vero e proprio archivio centrale europeo (misura n. 21).
In secondo luogo, il "programma" richiede l’elaborazione di strumenti che consentano di rendere effettive nello Stato di residenza del condannato le interdizioni così inventariate e di estendere alcune di esse a tutto il territorio dell’Unione (misura n. 22). A tale misura è ricollegabile un’apposita iniziativa della Danimarca di "Terzo pilastro" (infra § 25) (44) .
La proposta di decisione-quadro della Germania sulle "frodi" in materia di appalti
24. Nel marzo 1999 la Germania presentava una bozza di azione comune sulla "tutela penale contro comportamenti anticoncorrenziali fraudolenti o sleali in relazione all’aggiudicazione di appalti pubblici nell’ambito del mercato interno" (45) .
Per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1° maggio 1999), che ha inciso profondamente sulle modalità e sugli strumenti di cooperazione intergovernativa "giustizia e affari interni", la Germania ha dovuto riproporre l’iniziativa mutando forma giuridica della proposta da "azione comune", tipo di misura non più esistente, in "decisione quadro".
L’iniziativa della Germania mirava, in primo luogo, a far introdurre negli ordinamenti penali degli Stati membri il reato di "comportamento anticoncorrenziale fraudolento o sleale" in relazione all’aggiudicazione di un appalto pubblico, considerando come comportamento anticoncorrenziale fraudolento quello di una impresa che presenta un’offerta basata su un accordo illecito o su una pratica concordata tra imprese - dietro promessa di un vantaggio o altro - al fine di indurre l’ente aggiudicatore ad accettare l’offerta.
A corollario della nuova figura penale, veniva pura richiesta l’estensione della responsabilità delle persone giuridiche in relazione ai comportamenti illeciti tenuti da propri esponenti e la conseguente applicazione di sanzioni, quali, ad esempio, l’esclusione dal godimento di un aiuto pubblico e l’applicazione del divieto temporaneo o permanente di esercizio di una attività commerciale.
Nel giugno del 2002 il Parlamento europeo, dopo aver interpellato i competenti organi consultivi (46) , ha però respinto l’iniziativa in quanto non fondata da un punto di vista strettamente giuridico (47) .
Se il Parlamento europeo, in punto di fatto non faticava a riconoscere l’importanza di uno strumento uniforme ampio ed efficace per la lotta alle frodi negli appalti pubblici, in punto di diritto segnalava come la proposta tedesca non era accettabile come "decisione-quadro".
Tale strumento, infatti, ai sensi dell’articolo 31(e) del TUE, "deve riguardare la lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo e al traffico di sostanze stupefacenti", mentre la proposta tedesca - così come formulata - riguardava il fenomeno di per sé delle frodi in appalti pubblici che - puntualizzava il Parlamento europeo - mentre può essere connesso a quello della criminalità organizzata non è solitamente connesso con quelli del terrorismo e del traffico di sostanze stupefacenti. Quindi, con quella formulazione, la decisione-quadro ad iniziativa tedesca avrebbe trovato applicazione solo in casi eccezionali.
La proposta di decisione della Danimarca in materia di decadenza da diritti ("disqualifications")
25. Nel giugno del 2002 la Danimarca ha presentato una proposta di decisione in materia di disqualifications (48) con il fine di estendere automaticamente in tutti i Paesi dell’Unione la valenza giuridica delle interdizioni applicate, anche non in conseguenza della pronuncia di una condanna, da una autorità giudiziaria penale ad una persona fisica (49) .
Il progetto in questione è tutt’ora in corso di esame in sede di Gruppi di lavoro consiliari e non sembra invero destinato ad una rapida attuazione. Ostacoli di ordine giuridico ed, in alcuni casi, una rocciosa tutela degli interessi nazionali opposta da un gruppo di Stati membri hanno sinora rallentato l’iter di approvazione. Peraltro, il fatto che nel corso dell’esame del progetto più Stati membri abbiano continuato ad esprimere dubbi sulla compatibilità dell’iniziativa con i principi fondamentali dei propri ordinamenti giuridici, ha concorso progressivamente a svilire l’iniziativa Danese dei contenuti più interessanti ed innovativi.
Secondo il tenore della proposta originaria della Danimarca, l’iniziativa faceva perno su un concetto molto ampio di disqualification nel senso, cioè, di qualsiasi atto emesso da una pubblica autorità che incide negativamente sulla posizione giuridica soggettiva di un singolo. Tale ampia accezione ha incontrato forti obiezioni, alcune forse non del tutto ingiustificate, da parte di molti Stati membri.
Si è così progressivamente pervenuti ad accezioni di disqualification aventi una portata applicativa di gran lunga più ridotta rispetto a quella iniziale. Secondo uno dei più recenti documenti di lavoro, il Consiglio è orientato a lavorare su una ipotesi di decisione che trovi applicazione solo alle disqualification "che sono imposte da una autorità giudiziaria come parte di un giudizio penale o che sono un automatico corollario di una condanna penale, e che limitano l’accesso del soggetto condannato ad una occupazione professionale".
È evidente che qualora dovesse essere tenuta ferma tale definizione, la portata applicativa della decisione sarebbe assolutamente marginale, limitata come sarebbe alla sola protezione della moralità degli iscritti agli albi ed ordini professionali. Non avrebbe, quindi, alcuna rilevanza in tema di prevenzione della criminalità negli appalti pubblici.
Altro impatto avrebbe, al contrario, la decisione nell’ipotesi in cui essa facesse riferimento alle disqualification "imposte da una autorità giudiziaria penale" tout court. Tale definizione comprenderebbe una molteplicità di situazioni previste dall’ordinamento giuridico italiano, ivi comprese quelle avente carattere di misura di prevenzione antimafia. Infatti, accanto alle pene accessorie previste all’articolo 19 del codice penale, nel concetto di disqualification potrebbero rientrare, in quanto irrogate da una autorità giudiziaria sebbene al di fuori di un procedimento penale, le decadenze e i divieti connessi all’applicazione di una misura di prevenzione ai sensi della Legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni (50) .
Peraltro, ogni altra definizione restrittiva del concetto di disqualification sarebbe inutiliter data, atteso che, come ormai impropriamente richiamato nel preambolo del progetto di decisione (51) , la raccomandazione n. 2 della Strategia dell’Unione per l’inizio del nuovo millennio richiede l’esclusione dei soggetti responsabili di reati connessi con la criminalità organizzata dalla partecipazione alle procedure di appalto (vedi supra § 22.).
Al fine di garantire la circolarità delle informazioni di interesse, il provvedimento ad iniziativa danese prevede l’istituzione o individuazione di un punto di contatto centrale nazionale con il compito di acquisire e fornire informazioni sulle disqualifications. Per il disimpegno di tali funzioni, al punto di contatto dovrà essere attribuito il potere di accesso alle banche-dati dei precedenti penali e delle interdizioni applicate a livello nazionale, nonché la facoltà di scambiare le predette informazioni con i collaterali degli altri Stati membri.
Il prossimo futuro
26. Come si è avuto ampiamente modo di vedere, gli organi istituzionali dell’Unione europea appaiono consapevoli del fatto che le amministrazioni pubbliche, e gli altri soggetti cui si applicano le direttive sugli appalti, costituiscono un vasto ambiente che può essere pericolosamente condizionato dall’azione della criminalità.
Con un giro d’affari che ammonta ad oltre 1.000 miliardi di euro, cifra pari al 14% del PIL dell’Unione, il settore degli appalti pubblici "europei" ha tutte le caratteristiche per rientrare naturalmente negli obiettivi potenzialmente più proficui delle organizzazioni criminali (52) .
Nonostante l’ampiezza della minaccia, il fronte dell’azione comunitaria di prevenzione sembra, però, limitarsi a solo pochi segmenti dei complessi meccanismi che regolano gli appalti. Sinora, infatti, è la fase di selezione degli offerenti quella in cui l’Unione sembra più avvertire l’esigenza di un intervento, tramite l’emanazione di nuove direttive sugli appalti, per rafforzare gli strumenti di lotta alla criminalità organizzata, oltre al riciclaggio di denaro, alla corruzione e alla frode.
Si tratterebbe, peraltro, di un rafforzamento parziale dell’azione di prevenzione.Se da un lato, infatti, le disposizioni del progetto di direttiva "classica" che prevedono l’esclusione obbligatoria dei soggetti su cui grava una condanna definitiva per "partecipazione ad una associazione criminale " sono un deciso passo in avanti nella strategia di rafforzamento dell’ambiente della legalità negli appalti "europei", dall’altro, il presidio comunitario appare incompiuto laddove non prevede tutele e controlli rafforzati nelle altre situazioni di rischio elevato di illegalità non ancora sanciti da incontrovertibilità derivante da una sentenza di condanna definitiva.
Si pensi, infatti, ai casi in cui, pur in assenza di una condanna definitiva, si disponga comunque di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti in ordine a tentativi di infiltrazione o di condizionamento dell’appalto "europeo". Si tratta, in altri termini, delle situazioni di elevato rischio per le quali potrebbero trovare idonea applicazione, se non le misure ablative - che colliderebbero con le più rigorose applicazioni del principio di non colpevolezza-, almeno i preventive screening e le "misure di controllo".
Si tratta cioè di strumenti di prevenzione, positivamente sperimentati nel nostro Paese, che pur propugnati dalla Commissione nel rapporto sulla strategia Europea per prevenire la criminalità organizzata (supra § 22.), non trovano riscontro né nei progetti di riforma delle direttive "classica" e "utilità" né nelle sporadiche iniziative di cooperazione intergovernativa di cui ne è stato cenno ai §§ 24. e 25.
Ad ogni modo, il sensibile passo in avanti di un rafforzamento della prevenzione nei due progetti di direttiva rispetto a quelle vigenti, sarà tanto più efficace quanto più ampio sarà il concetto di disqualification secondo le indicazioni sopra accennate e quanto più precisi e vincolanti saranno i meccanismi di enforcement e di scambio internazionale delle informazioni previsti nella decisione ad iniziativa della Danimarca.
È appena il caso di precisare, però, che su tale progetto di decisione non potranno essere riposte particolari aspettative per un decisivo impulso alla circolazione negli Stati membri dell’intelligence in materia di prevenzione dell’illegalità negli appalti "europei". Quelle che circoleranno con più facilità saranno, infatti, le informazioni che derivano dalla consultazione dei vari "casellari giudiziali", strumentali per una applicazione a livello europeo delle decadenze, dati cioè storici e statici che ben poco hanno a che fare con l’accezione dinamica dell’intelligence quale "informazione suscettibile di essere valutata" (53) .
In sintesi, la risultante delle novità che saranno introdotte dalle nuove direttive e del meccanismo di scambio sulle disqualifications previsto dalla decisione ad iniziativa danese, avrà scarsa incidenza sui flussi di scambio di intelligence tra Stati membri.
Volgendo, infine, nuovamente l’attenzione alle questioni più tipicamente penalistiche, è stato segnalato il tentativo, peraltro non andato a buon fine, di introdurre nella cooperazione intergovernativa dell’Unione la figura penale del "comportamento anticoncorrenziale fraudolento o sleale" in relazione all’aggiudicazione di appalti pubblici. Sebbene sia noto che questa tipologia delittuosa non esaurisce da sola il panorama dei metodi di infiltrazione negli appalti delle organizzazioni criminali, è certo che una sua introduzione nei sistemi penali degli Stati membri dell’Unione avrebbe forse posto le premesse per interrogarsi anche in ordine alla necessità di prevedere, altresì, modalità concertate per la prevenzione della medesima tipologia delittuosa e, quindi, di procedere per altra via al rafforzamento del più ampio dispositivo di prevenzione contro la minaccia della criminalità organizzata nel tessuto economico dell’Unione.
Questo è, in sintesi, quanto accade nel laboratorio dell’Unione per far fronte, in chiave preventiva, al rischio trasnazionale di condizionamento degli appalti "europei". Sul piano concreto non è molto, avuto soprattutto riguardo all’enfasi che dedica la comunità internazionale sui temi dello sviluppo dell’intelligence e dell’azione preventiva per tutte le manifestazioni criminose riconducibili a sodalizi organizzati.
27. Posto dunque che le iniziative europee di riforma in corso non sembrano idonee, nel breve periodo, a fornire adeguata risposta ai rischi transnazionali che si annidano negli appalti, ci si chiede se sia possibile tuttavia elaborare, a livello concettuale, un modello per un assetto europeo di prevenzione del fenomeno, da realizzare nel medio e nel lungo periodo e che tenga in debita considerazione le esigenze di sviluppo dell’intelligence specifica nel settore.
La risposta può essere affermativa, in quanto, come ampiamente visto più sopra, le istituzioni dell’Unione hanno tracciato nel tempo, anche se non in forma organica, una serie di indirizzi che possono essere certamente di orientamento per l’elaborazione del modello.
Sulla scorta degli atti politici e programmatici elaborati in sede europea (§§ 16.-23.), un modello di prevenzione nel settore potrebbe ispirarsi ai seguenti principi-guida:
economicità del modello;
carattere tendenzialmente non ablativo delle misure di prevenzione (preventive screenings e "misure di controllo") in assenza di provvedimenti sprovvisti di certezza o definitività giuridica;
flessibilità nell’applicazione delle predette misure sulla base di predeterminati criteri basati sulla valutazione del rischio (risk-based approach);
trasparenza del procedimento di adozione delle misure;
speditezza nell’esecuzione dei controlli e nell’applicazione delle misure;
costante attenzione, anche nella fase di applicazione di misure e di esecuzione dei controlli, alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei terzi in buona fede;
professionalità dei soggetti investiti, a diverso titolo, all’attività di controllo e di esecuzione delle misure;
rispetto delle norme in tema di trattamento dei dati personali.
In fase realizzativa, poi, il predetto modello terrebbe conto dell’esperienza maturata nei modelli di prevenzione di altre fenomenologie criminali, il più possibile affini, con lo scopo di valutare quali procedure e meccanismi, di provata efficacia e affidabilità, siano mutuabili con gli opportuni adattamenti.
Quale modello di riferimento potrebbe, ad esempio, essere preso in considerazione quello adottato in materia di antiriciclaggio, ovvero per prevenire che il sistema bancario e finanziario sia utilizzato per fini di riciclaggio di capitali di provenienza illecita.
Più d’una sono infatti le affinità tra il fenomeno del riciclaggio e quello del condizionamento degli appalti: si pensi, infatti, alla comune matrice riconducibile al versante economico-finanziario della criminalità organizzata, al carattere interdisciplinare dei fenomeni che investono competenze ed expertises di organismi tutt’affatto diversi e, non ultima, alla comune dimensione transnazionale.
Il modello tipico di prevenzione antiriciclaggio, ormai adottato quasi ovunque nel mondo secondo lo schema che deriva dalle note 40 Raccomandazioni emanate dal GAFI (Financial Action Task Force), poggia sui seguenti pilastri:
- necessità di un approccio integrato e multidisciplinare, in considerazione del fatto che il riciclaggio per essere adeguatamente contrastato richiede la sinergia di professionalità diverse (esperti giuridici, in discipline bancarie e di law enforcement);
- necessità di associare il settore privato (banche, intermediari finanziari ed altri soggetti "a rischio") negli sforzi di prevenzione del fenomeno, attraverso l’adozione di programmi addestrativi del personale e procedure di auditing specificatamente dirette alla riduzione del rischio di coinvolgimento inconsapevole in fatti di riciclaggio;
- necessità, attraverso il meccanismo di segnalazione delle transazioni sospette, di una "cooperazione attiva" del settore privato con le autorità incaricate dell’applicazione della legge (forze di polizia, magistratura);
- individuazione in ogni Paese di un organismo specializzato (Financial Intelligence Unit), con funzioni di raccolta, analisi e disseminazione alle autorità competenti dell’intelligence finanziaria ricevuta sotto forma di segnalazione di transazioni sospette;
- necessità di assicurare, a livello nazionale, una idonea osmosi informativa verticale tra tutte le autorità interessate alla lotta al fenomeno;
- necessità di assicurare lo scambio internazionale, almeno orizzontale, delle informazioni ad ogni livello (tra autorità giudiziarie, forze di polizia, autorità di vigilanza e tra FIU).
Il processo di adattamento di questo modello alle esigenze di prevenzione negli appalti pubblici "europei", può condurre in ciascuno degli Stati membri a soluzioni concrete sensibilmente diverse. Numerosi fattori, quali la diversità delle tradizioni giuridiche esistenti nell’Unione (che saranno destinate ad acuirsi con l’allargamento a dieci nuovi Paesi) in tema di controlli preventivi e garanzie dei singoli, dell’accezione del concetto di intelligence e dell’opportunità di concentrarla in uno o più poli tematici di attrazione, delle posizioni in ordine al fatto se tali controlli preventivi abbiano una dimensione di polizia di sicurezza o al contrario attengano all’azione di vigilanza di un’authority, sono tutti elementi che influenzeranno non poco, al momento opportuno, la veste definitiva del modello che ciascun Paese deciderà di adottare (54) .
28. Qualora gli Stati membri dell’Unione dovessero decidere di dotarsi di modelli di prevenzione dell’illegalità negli appalti forgiati sul modello antiriciclaggio sopra esaminato, vi sarebbero i presupposti necessari per l’attivazione di un circuito rapido ed efficace di scambio dell’intelligence a livello europeo.
Sarebbe, infatti, sufficiente che ciascun Paese preveda:
- il potere di accesso ad uno o più organismi qualificati ad una banca-dati nazionale, possibilmente centralizzata, dove confluiscano tutte le informazioni, attinenti a procedure e soggetti coinvolti in gare di appalto, necessarie per evidenziare i casi di disqualification nonché le situazioni comunque a rischio di infiltrazione o di condizionamento per i quali sia necessario avviare più approfonditi controlli, eseguire verifiche o condurre preventive screenings.
- la possibilità che, secondo determinate procedure, le informazioni contenute nella predetta banca-dati siano scambiate con gli altri partner europei;
- l’obbligo per determinati soggetti (enti aggiudicatrici, autorità di vigilanza competenti, altri soggetti da determinarsi) di segnalare ad uno o più organismi qualificati le situazioni di anomalìa, riscontrate in una fase qualsiasi di una procedura d’appalto (gara, progettazione, esecuzione, collaudo), quando siano riconducibili ad ipotesi di condizionamento o infiltrazione da parte della criminalità organizzata;
- il potere di scambiare con Stati membri le predette segnalazioni di anomalìa, quando riguardano appalti "europei" o imprese che partecipano a gare di appalto "europeo";
- la possibilità che team ispettivi a composizione mista, interforza e multidisciplinare (personale di più Stati, appartenenti ad agenzie diverse e con diverse expertise), in presenza di gravi rischi di condizionamento ed infiltrazione, possano eseguire presso cantieri "europei" aperti sul proprio territorio, attività di accesso, controllo ed ispezione al fine di verificare se l’opera appaltata si svolge in un ambiente di legalità.
Al riguardo, appare insuperabile l’opportunità che sia lasciato il più ampio margine di discrezionalità a ciascun Stato membro circa l’individuazione di quali debbano essere in concreto gli organismi nazionali cui attribuire le predette facoltà e competenze.
Potrebbe, tuttavia, ancora una volta, farsi riferimento a quanto accade in ambito di antiriciclaggio, dove è prevista in ciascun Paese la costituzione o l’identificazione di un organismo che svolge funzioni di "unità di intelligence finanziaria" (o FIU). Si tratterebbe, in sostanza, di studiare la fattibilità di disporre di un "centro di eccellenza" o un’unità centrale per l’intelligence sugli appalti cui attribuire funzioni di stanza di compensazione delle informazioni di interesse e di interfaccia con i competenti organi nazionali (di vigilanza sugli appalti, di polizia e giudiziari) e gli omologhi stranieri.
Queste funzioni potranno, ovviamente, essere attribuite ad organismi o autorità già esistenti, polarizzate verso un’unità centrale indipendente, la cui natura giuridica (se debba, cioè, esser un organo amministrativo, di polizia o mista) dipenderà unicamente dalle scelte dello Stato membro in questione in ragione delle peculiarità del proprio ordinamento giuridico.
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